Indecisa se fare un  poisson cru à la tahitienne, (e cioé un piatto a base di pesce crudo marinato, spesso tonno, e successivamente irrorato con latte di cocco, mangiato in Polinesia  Francese) un normale tartaré di tonno o Maguro Teriaky, un tonno marinato alla maniera  giapponese con salsa Teriaky appunto….indecisa sul da farsi ho letto 40 mila ricette in internet e ancora non mi sono decisa.E nessuno conosce questi piatti per poter aiutarmi.
cmq spulciando internet, ho trovato un tipo che ha riscritto una pagina del libro di Sorrentino, il regista napoletano, al suo primo libro. 
 
“Paolo Sorrentino, Hanno tutti ragione. Ossia la tartare di tonno, il crème caramel e la decadenza del mondo”
 
alla pagina 319 il protagonista dice:
Mi piace mangiare e bere: gin tonic, Ballantine’s per l’orchestra, e non disdegno ettolitri di Falanghina. Mi attizzano le zucchine alla scapece, mi arrapo mangiando una cernia con le mani insieme a una che mi va, mi commuovo al pensiero di irripetibili gnocchi di patate di mia madre.

Ma pur essendo allenato al peggio, di fronte ad una tartare di tonno vacillo, sbando: la trovi sempre e ovunque, da Palermo a Bolzano. Ha rotto i coglioni la tartare di tonno.

Io sono sopravvissuto al risotto allo champagne, alle pennette alla vodka, alla fase delle farfalle al salmone, alla vertigine della pizza coi pomodori pachino, alla tossicodipendenza trasversale della spigola sotto sale.


Ancora ieri mi son sentito preso per il culo: Tony, venerdì preparo un puzzle di spigola in granelle di sesamo. L’avrei presa a calci nei polpacci.

Ho ripensato a mio padre quando rifiutò atterrito un crème caramel, ritenendolo forse poco virile, ma certamente responsabile della decadenza del mondo. Il crème caramel.”

Il lettore appassionato gurmé a questo punto mi barcolla, terreo paventa l’ennesima tiritera della genuinità, della tradizione, della cucina di una volta, della cucina delle nostre mamme e delle nostre nonne. Il gastrofanatico fighetto e modaiolo, una sorta di corto circuito, di semplificazione “strisciante”.


“Io mi incazzo se mi impongono le cose, lo vedo, lo so che ci prendono per i fondelli. Ecco, non me ne frega niente di apparire stucchevole, ma io ripenso a mia madre, alle nostre madri e alla loro semplicità, che rendeva la vita accettabile, forse… felice. E badate bene che semplice non vuol dire elementare, banale: cazzo, non confondiamo, son due cose diverse anni luce tra loro.

Invece ci siamo fatti fottere dai caroselli, abbiamo creduto di poter costruire sistemi più complessi, scelte più articolate: bastava una risposta semplice, ma nessuno era più in grado di darla. Credevamo di esser diventati complessi, invece eravamo solo e irrimediabilemnte più complicati, una specie di degenerazione, intontiti dal frastuono del nostro disagio”.


Azz.., questa cosa della complessità sembra avere il suo peso, anche in cucina. Un pensiero verticale, un florilegio di semplici qualità, che puoi distinguere una ad una, un mazzo di fiori diversi: la complessità. Affastellare, creare orpelli, apparire risulta solo comportamento complicato, vuoto, intrinsecamente fragile, posticcio come granelle di sesamo…