L´ultimo giorno di vacanza  a Budapest, ho lasciato marito, figlio e suoceri in Hotel a crogiolarsi e sono fuggita. Si, fuggita via per andare nella piazza Hosok Tere, dove si trovano due grandi musei ungheresi il Mucsarnok, galleria di arte contemporanea e il Szépmüvészeti Múzeum, entrambi progettati dagli architetti Albert Schickedanz e Fülöp Herzog all’inizio del Novecento. In realtà l’ idea iniziale era quella di visitare solo Il museo di belle arti, ma essendo i due edifici praticamente quasi uguali, in stile eclettico-neoclassico, uno con un portico a 8 colonne e uno con un portico a 6 colonne, mi sono confusa. Si, proprio cosi, mi sono ritrovata nella galleria d’ arte contemporanea, quando l’ intenzione era quella di andare a vedere il Szépmüvészeti che al  suo interno conserva una tra le più importante collezione di dipinti del mondo, con opere che percorrono tutto l’arco di tempo che va dal Medioevo al Novecento e tutte le principali scuole europee.

Verso le 9.45 mi sono seduta su di una delle sedie in ferro battuto color bianco sporco che ordinatamente riempivano la terrazza sotto il portico. Ancora 15 minuti di attesa prima dell’ apertura del museo. Mi sono immersa nella lettura e poi ad un tratto mi sono resa conto che ad aspettare come me, c’ era anche un ragazzo.  Che mi osservava. Piuttosto giovane, forse sulla trentina, con scarponcini da montagna, una t-shirt, barba e occhiali da sole. Quando ha incrociato il mio sguardo, ha distolto il suo, lentamente. Alle 9.58 ho riposto gli occhiali nella borsa e il mio libro e sono entrata, ho atteso qualche minuto e poi è apparsa una giovanissima ragazza in biglietteria.

Una volta pagato l’ ingresso, dopo 3 minuti mi rendo conto di aver sbagliato museo. Serendipty. Trovare qualcosa che non si cercava. Accellero il passo per entrare in qualche altra sala e avere cosi la conferma che mi trovo nel museo sbagliato. Penso che ormai che ci sono, visito anche questa galleria, in fin dei conti, ho tempo. Nel frattempo Il ragazzo che aspettava fuori è l’ unico visitatore a parte me. Ci ignoriamo ma sappiamo perfettamente che siamo soli. Non ci sono nemmeno i controllo e uscieri del museo. Sembra di stare in un film. Avendo iniziato il percorso insieme, alla stessa ora, è ovvio che guardiamo quasi le stesse sale allo stesso tempo. C’ è un gran silenzio, forse a stento si sentono i nostri passi. Ad un certo punto il passaggio del  mio corpo vicino ad un opera sveglia la fotocellula di una installazione. E’ il Parlamento di Budapest in gesso, e la fotocellula al passaggio di un visitatore si mette in moto e simula un terremoto. Con aventuale caduta di pezzetti di gesso. Il ragazzo al sentire il rumore, si avvicina al piccolo Parlamento e mi guarda, sorridiamo. Mi dice qualcosa in una lingua che non riesco a capire. Ma intuisco che si tratta semplicemente di un commento all’ installazione. Ci giriamo intorno e accendiamo nuovi terremoti. Si fa interessante, sembra davvero di essere in uno di quei film che iniziano con una scena in una galleria dove due sconosciuti si aggirano tra le opere.

Mi allontano.

Trovo molte opere banali e volgari. In particolare due: si tratta di due video. Nel primo video noto un wc, poi sento lo sciabordio, il mio sguardo si sposta verso l ‘ alto. Si tratta proprio di un pene. Il fallo si vede e non si vede, piscia, sgocciola, ricomincia.  lo regge impassibile una mano, è una pisciata eterna.

La seconda opera, se proprio cosi la vogliamo chiamare, è basata sul video di una persona che inveisce contro se stessa allo specchio. La cosa interessante consiste nel fatto che la persona si vede allo specchio più vecchia e cosi il messaggio viene trasmesso agli spettatori. Ma la cosa schifosa e non-artistica, è che il tipo si sputa in faccia, e questa disgustosa saliva cola sullo specchio.

Ho visto abbastanza, penso. E cerco l’ uscita. Incrocio il ragazzo e finalmente mi faccio coraggio, rompo il ghiaccio e gli chiedo cosa ne pensa. Biascica qualche parola male articolata in inglese, gli chiedo se vuole parlare in tedesco e mi dice che preferisce l’ inglese. E’ ungherese.

” what’s the question of the user? and which can never be the answer? I think it’s a real shit. In Hungary there are so many good artists, I do not understand this selection” mi dice..

In effetti, pensandoci bene, queste opere non fanno sobbalyare niente, ne la coscienza, ne il cuore, non provocano la pelle d’ oca ma nemmeno il minimo interesse.

Lo saluto ed esco dal museo. Attraverso veloce la piazza e con lo stesso ritmo veloce del primo biglietto, faccio anche il secondo.

Sbircio la pianta, le collezioni sono divise sui quattro lati dell’ edificio che ha al centro una grande corte. Chiudo gli occhi per un minuto, queste scale enormi, fredde, marmoree, mi ricordano Palazzo Gravina. Inizio dalla collezione italiana, una delle migliori. Vi è addirittura una presunta opera pittorica di Leonardo. E una scultura sua,  accertata,  in bronzo. Le sale hanno le pareti rosse che con  gli scuri tenebrosi dei ritratti gotici e  rinascimentali e le vesti con le decorazioni ricche e arabescate, contrastano delicatamente creando una  giusta armonia. La collezione può fare invidia a qualsiasi città italiana tranne Roma e Firenze. Duccio di Buoninsegna, Correggio, Domenico Ghirlandaio, ma anche Tintoretto, Tiepolo, Giorgione, Veronese, Raffaello. Scivolavo da una sala all’ altra per  ammirare l’ ambiguità stilistica tipica dei dipinti italiani dell’ epoca, dove si fonde la compresenza di elementi  tardo gotici e rinascimentali. Le collezioni francesi con Delacroix, Pisarrò, Courbet e la collezione spagnola con Goya, El Greco, Diego Velasquez, Murillo le piu belle dopo la italiana. Un pò deludenti le collezioni austriache e tedesche. Infine l’ imperdibile giro al bookshop dove ho comprato un libro sulla spettacolare architettura art nouveau di Budapest. Sono scesa sotto terra, attraversando i gradini del metrò rapidamente, con il cuore felice. L’ arte è riuscita nel suo intento, a regalarmi emozioni forti e non importa di secolo sia.

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